Profili fiscali delle transazioni in materia di lavoro e relative problematicita’

Profili fiscali delle transazioni in materia di lavoro e relative problematicita’

Nelle controversie in materia di lavoro, molto spesso il datore di lavoro e il lavoratore decidono di soddisfare le proprie pretese in sede stragiudiziale, attraverso i cd. accordi transattivi[1]. I motivi di tale scelta sono principalmente i costi che deriverebbero dal contenzioso giudiziale e l’alea dello stesso.

Tuttavia, non sempre è facile comprendere la portata degli effetti fiscali che caratterizzano l’accordo de quo, soprattutto quando questo negozio viene utilizzato per estinguere il rapporto di lavoro tra le parti e riconoscere un risarcimento danno al dipendente.

La problematica della assoggettabilità a tassazione delle somme percepite a titolo di risarcimento del danno è legata principalmente al dato testuale della disciplina legislativa in materia e, in particolare, degli artt. 6, 17 e 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (Tuir).

L’art. 6, comma 2, Tuir, infatti, stabilisce che solo “i proventi conseguiti in sostituzione di redditi (…) a titolo di risarcimento dei danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti”.

Purtroppo, attorno all’infelice formulazione del citato articolo, si sono generati nel tempo molti dubbi, soprattutto se si confronta la disposizione suddetta a quella contenuta nell’art. 17 del medesimo Testo Unico, che, invece, sottopone a tassazione separata (considerandoli, pertanto, imponibili) il “trattamento di fine rapporto di cui all’articolo 2120 del codice civile e indennita’ equipollenti (…); altre indennita’ e somme percepite una volta tanto in dipendenza della cessazione dei predetti rapporti, comprese l’indennita’ di preavviso, le somme risultanti dalla capitalizzazione di pensioni e quelle attribuite a fronte dell’obbligo di non concorrenza ai sensi dell’articolo 2125 del codice civile nonche’ le somme e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro dell’autorita’ giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro (lett. a) e “le indennità spettanti a titolo di risarcimento, anche in forma assicurativa, dei danni consistenti nella perdita di redditi relativi a più anni” (lett. i), o, ancora, a quella di cui all’art. 51, comma 1, che stabilisce che il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.

Si è posto, quindi, il problema di definire la natura delle indennità percepite in relazione più o meno stretta con il rapporto di lavoro per stabilire se le medesime siano da considerare risarcimenti esenti da imposta, ai sensi dell’art. 6, ovvero risarcimenti dei danni consistenti nella perdita di redditi relativi a più anni, sottoposti a tassazione separata ex art. 17, o somme percepite in dipendenza del rapporto di lavoro, sottoposte a tassazione ordinaria dall’art. 51.

All’esito di un fervido dibattito giurisprudenziale e di un processo elaborativo con cui è stata recepita dalla giurisprudenza tributaria la distinzione di danno tipicamente civilistica, si è giunti alla conclusione che è escluso, in via generale, dalla nozione di reddito l’indennizo qualificabile come mera reintegrazione patrimoniale che non rappresenti un flusso di reddito nuovo (cd. danno emergente), mentre restano assoggettati a imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) quegli indennizzi risarcitori del lucro cessante, in quanto emolumenti sostitutivi di un reddito che il danneggiato non ha potuto conseguire per effetto dell’evento lesivo.

Una volta chiarita la non tassabilità del c.d. danno emergente, la giurispudenza si è poi occupata di inquadrare le differenti tipologie di indennità percepite in occasione del rapporto di lavoro in una o nell’altra fattispecie di danno.

Ma, attulamente, l’intertevento giurisprudenziale non è affatto risolutivo sul tema, permanendo una grande incertezza sull’argomento.

Ancora oggi, infatti, nonostante vi siano numerosissime pronunce orientate a riconoscere le somme erogate dal datore di lavoro a seguito di licenziamento ingiustificato quale risarcimento del danno emergente, si contrappone un diverso filone che propende, piuttosto, per il riconoscimento, nelle medesime ipotesi, di un lucro cessante.

In questa operazione ermeneutica, allora, è fondamentale il ruolo del contribuente stesso che abbia avanzato istanza di rimborso danni, atteso che è proprio il lavoratore-contribuente a dover fornire un’adeguata prova circa la natura di danno emergente della voce risarcitoria ottenuta, quali, ad esempio, i certificati medici, le perizie medico-legali, oppure eventuali denunce/diffide formulate.

E tale onere è stato espressamente attribuito al lavoratore dai Giudici della Suprema Corte di Cassazione Sezione Tributaria, i quali hanno stabilito che alla somma versata al lavoratore, a fronte di definizione transattiva della controversia relativa alla cessazione del rapporto, deve essere presuntivamente attribuita, al di là delle qualificazioni formalmente adottate dalle parti, la natura di ristoro della perdita delle retribuzioni che la prosecuzione del rapporto avrebbe implicato, e, quindi, di risarcimento di un danno qualificabile come lucro cessante, con conseguente applicabilità dell’art. 6 citato (cfr. Cass. Sez. Trib., sentenza 24.09.2003, n. 14167).

L’unica fattispecie in cui, allo stato, si registra una certa uniformità di orientamento è quella del danno biologico, figura di creazione dottrinale-giurisprudenziale, ritenuta non tassabile, in quanto considerato lesione alla salute – tutelato dall’art. 31, comma 1, Cost. non solo come interesse della collettività, ma anche come diritto fondamentale dell’individuo – che altera l’equilibrio psicofisico della persona, in grado di provocare ripercussioni negative in ogni ambito, anche personale e familiare, in cui si svolge la personalità dell’individuo.

Pertanto, in virtù di tale natura, il danno biologico rappresenta una categoria a sè stante, che si differenzia, cioè, sia dalle conseguenze squisitamente economiche (derivanti dalla effettiva riduzione dei redditi o dalla ridotta capacità di guadagno), sia dalle sofferenze di ordine puramente morale.

Per tale fattispecie, addirittura, la giurisprudenza di legittimità ha previsto l’inversione dell’onere in capo all’ufficio fiscale, che deve provare, qualora nel verbale di conciliazione/transazione sia indicato che l’importo è corrisposto al lavoratore per il ristoro del danno biologico, che invece tale somma è stata corrisposta per un titolo diverso (cfr. Cass. Sez. Trib., sentenza 23.09.2016 n. 18629).

In conclusione, essendo la materia piuttosto delicata, è consigliabile la massima prudenza in sede di redazione dell’accordo transattivo qualora vi sia una pretesa risarcitoria da liquidare, cercando di precisare nel testo quanti più fatti e circostanze comprovanti la natura del danno non patrimoniale, al fine di evitare che esso venga considerato lucro cessante e, quindi, tassabile.

Avv. Romina Zanvettor

Avv. Alessandra Tagliapietra

[1] L’istituto della transazione è disciplinato all’art. 1965 c.c., che dispone: “La transazione è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro.

Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti”.

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