Il tema di oggi riguarda i contratti di prestazione di garanzia contenenti clausole riproduttive di uno schema elaborato nel 2003 dall’Associazione Bancaria Italiana (ABI clicca qui).
La Banca d’Italia, nella sua qualità di Autorità Garante tra gli istituti di credito (clicca qui), con delibera n. 55 del 02.05.2005, ha dichiarato la nullità dello schema ABI in questione perché frutto di un’intesa restrittiva della libertà di concorrenza.
La norma violata è quella dell’art. 2 Legge 287/1990 – c.d. Legge Antitrust- contenente norme per la tutela della libertà di concorrenza e del mercato.
La fideiussione omnibus è una garanzia personale che, se stipulata, impone al garante il pagamento di tutti i debiti, presenti e futuri, che il debitore principale ha assunto o, peggio ancora, assumerà nei confronti del creditore (nella prassi spesso un Istituto di Credito) in dipendenza di qualsiasi operazione.
Un caso di scuola come esempio di fattispecie tipo.
Nell’anno 2007, il Signor Rossi presta fideiussione omnibus alla Banca Beta, a garanzia di tutti i debiti assunti dalla Ditta Delta, in conseguenza di un contratto di mutuo fondiario.
Quasi dieci anni dopo, la Ditta Delta diviene morosa nel pagamento di una serie di rate consistenti del prestito e subisce, quindi, l’azione di recupero da parte della Banca Beta, che procede con pignoramento immobiliare anche sui beni del Sig. Rossi ipotecati in forza del rilascio della garanzia (discorso analogo si può fare anche nel caso in cui la Banca decida di procedere – e può farlo- anche nei soli confronti del garante).
Il Rossi, si oppone al pignoramento sostenendo la nullità del contatto di garanzia in quanto conforme allo schema ABI dichiarato anticoncorrenziale per violazione dell’art. 2 Legge 287/1990 (clicca qui).
Laddove venisse accolta la domanda del Rossi, e, dunque accertata e dichiarata la nullità, anche solo parziale del contratto in discorso, la garanzia non avrebbe più effetto e il Rossi non sarebbe tenuto a versare alcunché alla Banca Beta. In altre parole la già dichiarata invalidità a monte dello schema predisposto dall’ABI, ricadrebbe a valle sul contratto di garanzia.
Questo è un caso tipico che sta alla base della maggior parte delle decisioni in materia. E’ tuttavia necessario ricordare che:
– vale sempre la regola per cui ogni situazione è a sé stante;
– è sempre necessario svolgere le proprie difese nei tempi e modi previsti dal codice di procedura civile, prima che la questione giunga alla fase dell’esecuzione forzata.Le tappe della vicenda.
Il parere n. 55 del 02.02.2005 è stato pubblicato in esito a un apposito procedimento istruttorio promosso dalla Banca d’Italia e volto ad accertare se le previsioni dello schema negoziale sopra citato potessero assumere caratteri anticoncorrenziali. A tal fine venne acquisito il parere 22.08.2003 dell’AGCM.
L’anticoncorrenzialità delle clausole è stata in particolare ravvisata nella loro attitudine ad addossare al garante le conseguenze negative derivanti dell’inosservanza degli obblighi di diligenza imposto alla Banca, ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa, piuttosto che a garantire l’accesso al credito.All’esito del procedimento, la Banca d’Italia ha emanato il provvedimento n. 55, accertando che alcuni degli articoli dello schema predisposto dall’ABI (artt. 2, 6 e 8), per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie, contenessero disposizioni che, ove applicate in modo uniforme, risultavano in contrasto con l’art. 2 della Legge Antitrust. La Banca d’Italia ha, inoltre, invitato l’ABI a diffondere nel sistema bancario un nuovo schema depurato di tali clausole invalide.
L’orientamento della giurisprudenza sul punto.
La competenza a decidere in tale materia è riservata (competenza funzionale) al cosiddetto Tribunale delle Imprese. Si tratta di sezioni specializzate istituite -ex art. 33 Legge 287/1999- presso i Tribunali e le Corti d’Appello aventi sede nel capoluogo di ogni Regione, con eccezione di Lombardia, Trentino Alto Adige e Sicilia (in cui sono presenti due sedi) e della Valle D’Aosta (in cui non sono presenti sedi, poiché la competenza spetta a Torino).
La valutazione che i Tribunali sono chiamati a fare nei singoli casi rimessi alla loro decisione è quella di analizzare l’incidenza dell’intesa (o quantomeno del comportamento distorsivo della concorrenza attuato mediante predisposizione di uno schema generale) sui singoli contratti stipulati dagli Istituti di credito con i propri clienti.
L’orientamento della giurisprudenza – soprattutto quella dei Tribunali – sul punto, non è affatto univoco. Viene, infatti, sostenuto che la standardizzazione contrattuale non produca necessariamente effetti anticoncorrenziali.
La Cassazione Civile, con sentenza n. 12.12.2017 n. 29810, è stata la prima a pronunciarsi in merito statuendo, seppur in maniera indiretta, che la nullità del patto fideiussorio concluso in conformità a una intesa anticoncorrenziale prescinde dall’anteriorità del patto stesso rispetto al parere n. 55 della Banca d’Italia. In altre parole, la Cassazione ha precisato che rileva unicamente il fatto che l’intesa a monte (schema ABI del 2003) sia antecedente al contratto di fideiussione impugnato.
In modo conforme si è pronunciata la successiva sentenza del 22.05.2019 n. 13846 e la Corte d’Appello di Bari con provvedimento n. 45/2020.
Ciò che non è uniforme tra le varie decisioni che si sono succedute alla prima, è il fatto di stabilire in quali termini l’illecito anticoncorrenziale dello schema ABI travolga il contratto a valle. Se, in altre parole, venga dichiarato nullo l’intero contratto di garanzia o vengano solo espunte da esso le clausole invalide conformi allo schema.
Favorevole alla nullità totale del contratto sono state: Corte d’Appello di Firenze 18.07.2018, Corte d’Appello Roma 26.07.2018; Tribunale di Salerno 23.08.2018; Tribunale di Fermo 24.09.2018; Tribunale di Bolzano 19.12.2018; Tribunale di Belluno 31.01.2019; Tribunale di Pesaro 21.03.2019; Tribunale di Siena 14.05.2019; Tribunale di Taranto 08.09.2019. Contrario il Tribunale di Treviso 23.07.2018.
Si segnala, da ultimo, una recente sentenza del Tribunale di Catanzaro n. 5023/2019, la quale ha affermato che la competenza a decidere sia da attribuirsi al Tribunale ordinario, invece che alla sezione specializzata.
Ne discende l’importanza dell’esame approfondito e tecnico della singola fattispecie, della volontà delle parti, dell’alterazione dell’assetto dei rispettivi interessi, caso per caso.
Vi terremo aggionati.
Avv. Romina Zanvettor
Avv. Francesca Todeschini
Il contratto di fideiussione omnibus redatto secondo schema ABI è nullo?
La Legge 21.06.2017 n. 96, di conversione del D.L. 24.04.2017 n. 50 – c.d. Manovrina salvapannelli- con l’art. 57-quater, rubricato “salvaguardia della produzione di energia da impianti fotovoltaici ed eolici”, ha introdotto sei nuovi commi all’art. 42 comma 4 del D.Lgs. 28/2011 -c.d. Decreto Romani -testo base di riferimento nel settore delle energie rinnovabili.
I commi relativi ai pannelli fotovoltaici sono quelli dal 4-bis al 4-quinquies.Si tratta di una disciplina ad hoc, valida per gli impianti fotovoltaici, di potenza superiore ai 3 kW, per i quali, sia stata verificata, in esito al controllo del Gestore dei Servizi Elettrici (GSE), l’installazione di moduli (pannelli) non certificati, o con certificazioni non rispondenti alla normativa di riferimento.
In questi casi, viene applicata una decurtazione sulla tariffa incentivante base per l’energia prodotta.
La decurtazione in discorso viene però concessa solo
-su istanza del soggetto verificato
-e previa dimostrazione, da parte di questi, di aver intrapreso le azioni consentite dalla legge contro i responsabili della non conformità dei moduli.La percentuale di decurtazione, originariamente fissata al 20%, è stata poi dimezzata al 10% per espressa previsione dell’art. 13-bis, comma 1, della Legge n.128/2019 ed è validamente applicabile anche per quegli impianti ai quali è stata precedentemente adottata la decurtazione del 20% di cui alla Manovrina.
Di significativa portata risulta anche la lettera b) dell’art. 13-bis, comma 2, della Legge sopra citata, poiché specifica ulteriormente che la riduzione percentuale sopra richiamata si applica ulteriormente:
• agli impianti realizzati, e in esercizio, oggetto di procedimenti amministrativi in corso;
e
• su richiesta dell’interessato, agli impianti:
definiti con provvedimento del GSE di decadenza dagli incentivi;
oggetto di procedimenti giurisdizionali pendenti;
oggetto di procedimenti non definiti con sentenza passata in giudicato alla data di entrata in vigore della legge di conversione medesima (02.11.2019), compresi i ricorsi straordinari al Capo dello Stato.Attenzione, però, che la che la richiesta vale quale quiescenza alla violazione contestata nonché rinuncia all’azione eventualmente in corso contro il GSE.
Le nuove percentuali non si applicano qualora la condotta dell’operatore che ha determinato il provvedimento del GSE sia oggetto di processo penale in corso, ovvero concluso con sentenza di condanna anche non definitiva.Riferimenti normativi
Art. 57-quater. (Salvaguardia della produzione di energia da impianti fotovoltaici ed eolici). DECRETO-LEGGE 24 aprile 2017, n. 50 (in SO n.20, relativo alla G.U. 24/04/2017, n.95), convertito con modificazioni dalla L. 21 giugno 2017, n. 96 (clicca qui).Vi terrò aggiornati.
Avv. Romina Zanvettor
Avv. Francesca Todeschini
Manovrina salva-pannelli: 10% di decurtazione di tariffa per i moduli senza certificazioni
Oggi ci occupiamo dell’articolo 42, rubricato disciplina dei controlli e delle sanzioni in materia di incentivi che, ai suoi commi 3, 4 e 5, a partire dalla entrata in vigore in data 29.03.201, con il D.LGS 28/2011 (cosiddetto Decreto Romani -attuativo della direttiva n. 2009/28/CE), ha subito, nel tempo, svariate modifiche e ritocchi, tanto da risultare, oggi, un sistema notevolmente differente da quello originario (clicca qui).
Le modifiche più significative a questo articolo si sono avute a seguito di quattro interventi legislativi, volti principalmente a salvaguardare la produzione di energia da fonti rinnovabili, il cui meccanismo di concessione è preordinato al soddisfacimento di un interesse istituzionale che trascende quello dei singoli destinatari, per comprendere anche quello dell’organismo che elargisce il benefico e della nazione nel suo insieme, nell’ottica della promozione del c.d. green deal.
Tale sistema è stato messo a rischio anche da episodi di truffe, rimbalzate agli onori della cronaca, poste in essere da costruttori e appaltatori in danno di ignari soggetti utilizzatori i quali, a propria volta, si sono trovati pesantemente sanzionati dal Gestore, per esempio, per aver fatto installare, presso i propri stabilimenti, pannelli di origine non italiana, o non europea.Com’è noto, la competenza per l’attività di verifica, l’erogazione e il mantenimento degli incentivi è, per l’appunto, del Gestore dei Servizi GSE (clicca qui), costituito nel 1999, per effetto del decreto Bersani, che ha introdotto la liberalizzazione nel settore energetico. Società per azioni a partecipazione interamente pubblica, il Gestore è posto sotto il diretto controllo del Ministero dell’economia e delle finanze ed è la quarta società in Italia per fatturato, dopo Eni e Enel.
L’art. 42, nel suo impianto originario, prevedeva un sistema di erogazione di benefici sottoposta a una serie di verifiche effettuate da parte del GSE attraverso il controllo della documentazione trasmessa dal richiedente, nonché con visite a campione sugli impianti e, nel caso di accertata violazione rilevante, il rigetto dell’istanza di ammissione o la decadenza dai benefici ottenuti, con conseguente recupero delle somme eventualmente già corrisposte.
Se, da un lato, le modalità di controllo sono rimaste le stesse, le sanzioni, dall’altro, sono modificate integralmente.
Le leggi più significative sul tema, tutte modificative dell’art. 42, sono state promulgate nel 2017 e, l’ultimissima, alla fine dell’anno 2019. Si ricordano:
• Legge 21.06.2017 n. 96, che ha avviato (cosiddetta “Manovrina salvapannelli”), che avvia, per gli impianti di potenza superiore ai 3 kW, il meccanismo della decurtazione percentuale della tariffa base incentivante, ulteriormente ridotta in caso di violazioni spontaneamente denunciate prima dell’avvio del procedimento, e ha dettato regole ad hoc e per l’ipotesi di pannelli fotovoltaici con certificati non conformi;
• Legge n. 124 del 04.08.2017, che ha introdotto la decurtazione per gli impianti di potenza inferiore ai 3 kW;
• Legge n. 2005 23.12.2017, Legge di Bilancio per il 2018, che ha previsto una vera e propria deroga per tutti gli impianti percipienti incentivi al momento del controllo del Gestore, con ciò di fatto abolendo la sanzione della decadenza e introducendo quella della decurtazione, in una misura ricompresa tra il 20 e l’80% in ragione dell’entità della violazione, e ulteriormente ridotta in caso di autodenuncia;
• Legge 02.11.2019 n. 128, che ha inciso, per gli impianti già realizzati e ancora in esercizio, sulle variazioni percentuali riducendole ulteriormente e le rende applicabili anche agli impianti ai quali era stata precedentemente comminata la decurtazione per effetto della c.d. Manovrina.Quanto alla disciplina ad hoc introdotta dalla Legge salvapannelli per il fotovoltaico, in favore di soggetti già percipienti incentivi al momento dell’accertamento, l’articolo di riferimento è il 57-quater rubricato “salvaguardia della produzione di energia da impianti fotovoltaici ed eolici”.
Tale norma ha disposto, all’art. 42, comma 4 del Decreto Romani, sei ulteriori commi (dal 4-bis al 4-quinquies, per il fotovoltaico e il 4-sexies, per l’eolico), contenenti la previsione di una decurtazione del 20% sulla tariffa incentivante base per l’energia prodotta, da applicarsi in esito alla verificata installazione di moduli (pannelli) non certificati o con certificazioni non rispondenti alla normativa di riferimento. La decurtazione viene concessa solo su istanza del soggetto verificato e previa dimostrazione, da parte di questi, di aver intrapreso le azioni consentite dalla legge contro i responsabili della non conformità dei moduli.
La percentuale di decurtazione, originariamente fissata al 20%, è stata poi dimezzata al 10% e, secondo il disposto dell’art. 13-bis, comma 1, della Legge n.128/2019 -sopra citata come ultima degli interventi importanti in materia- validamente applicabile, come detto, anche per quegli impianti ai quali è stata precedentemente adottata la decurtazione del 20% prevista dalla Manovrina.
Di significativa portata risulta anche la lettera b) dell’art. 13-bis, comma 2, (l’unico a rimanere una disposizione esterna e non modificativa del testo normativo dell’art. 42) poiché specifica ulteriormente che le riduzioni percentuali sopra richiamate si applicano:
● agli impianti realizzati, e in esercizio, oggetto di procedimenti amministrativi in corso;
e
● su richiesta dell’interessato (che vale quale quiescenza alla violazione contestata nonché rinuncia all’azione), agli impianti:
− definiti con provvedimento del GSE di decadenza dagli incentivi;
− oggetto di procedimenti giurisdizionali pendenti;
− oggetto di procedimenti non definiti con sentenza passata in giudicato alla data di entrata in vigore della legge di conversione medesima (02.11.2019), compresi i ricorsi straordinari al Capo dello Stato.Attenzione, però, che le nuove percentuali non si applicano qualora la condotta dell’operatore, che ha determinato il provvedimento del GSE, sia oggetto di processo penale in corso, ovvero concluso con sentenza di condanna anche non definitiva.
Per quanto poi l’entità delle violazioni, il comma 5 dell’art. 42, fin dalla sua promulgazione, ha previsto, a completamento del quadro del sistema sanzionatorio, l’emissione di un Decreto Ministeriale che indicasse le violazioni che danno luogo alle sanzioni in materia di incentivi, sulla base di elementi valutativi che lo stesso GSE doveva fornire al Ministero.
È stato quindi pubblicato il Decreto Ministeriale 31.01.2014 (cosiddetto Decreto Controlli) che, con il suo Allegato 1, ha dato indicazioni -non tassative- per le violazioni rilevanti comportanti rigetto dell’istanza o decadenza dai benefici concessi.
La Legge di Bilancio 2018, sopra citata, ha dunque aggiornato anche il comma 5 dell’art. 42 in discorso introducendo, con lettera c-bis), tra i contenuti di detta disciplina di sistema, l’indicazione delle violazioni che danno luogo a decurtazione dell’incentivo ai sensi dell’ultimo periodo del comma 3 (quello della deroga, n.d.r.).Alcun decreto ministeriale di aggiornamento del Decreto Controlli risulta a oggi pubblicato tanto che il GSE, nei propri provvedimenti emessi in esito alle verifiche condotte sugli impianti, non ha recepito il nuovo sistema in deroga, di cui all’art. 42, 3 comma, secondo periodo, continuando a sanzionare con la revoca o la decadenza, in luogo della decurtazione!
Di importanza notevole sul tema, dunque, è la sentenza del Tar Lazio, Sezione Terza Ter, 30.07.2019, n. 10129, nella quale viene espressa una posizione chiara sul punto.
Nella fattispecie sottoposta all’esame del Tribunale amministrativo, si impugnava, con richiesta di annullamento, un provvedimento del GSE emesso in esito a un controllo, presso una installazione di n. 32 impianti solari termici, per i quali era stata formulata istanza di accesso al c.d. Conto Termico, e comminante la revoca dei benefici concessi per rilevata difformità degli interventi, realizzati rispetto alle direttive in materia, e per violazione dell’art. 42, comma 3, D.Lgs. 28/2011, così come introdotto e modificato dalla Legge n. 205/2017, (Legge di Bilancio 2018).
In particolare, la doglianza avanzata dal ricorrente, e accolta dal Tribunale amministrativo, riguardava proprio la portata della deroga di cui all’art. 42, comma 3, e la sua mancata applicazione a beneficio del Soggetto Responsabile, nonostante la chiara formulazione della norma in esame.
Il Gestore, al contrario, aveva disatteso la novella che prevede, come sopra esposto, non la revoca bensì la decurtazione, gradata in ragione dell’entità della violazione riscontrata (all’epoca la gradazione prevista era tra il 20% e l’80%).Il provvedimento è stato annullato.
Il Tribunale Amministrativo capitolino ha precisato senza alcuna ombra di dubbio – estromettendo il GSE dal ruolo auto-assuntosi di legislatore e ricollocandolo in quello proprio di controllore – che la natura dell’art. 42 comma 3, secondo periodo, come espressamente risulta dal dettato dalla norma medesima, è derogativa e che la previsione della decurtazione è direttamente applicabile, in luogo della revoca/decadenza, dovendo essere calibrata, nella sua forbice percentuale, in ragione dell’entità della violazione accertata dal GSE, previa verifica all’impianto (percipiente incentivi al momento del procedimento amministrativo del Gestore).Concludendo, quindi, a partire dall’entrata in vigore della Legge di Bilancio 2019, letta in combinato disposto con la precedente Manovrina e la Legge 128/2019, il sistema operativo dei controlli e sanzioni in materia di incentivi dispone che, per gli impianti ricadenti sotto la sua applicazione, la regola primaria è quella della decurtazione, con percentuali ribassate in misura rilevante e gradate in ragione dell’entità della rilevanza accertata.
Inoltre, sono previste misure specifiche per gli impianti fotovoltaici, per i quali venga accertata l’installazione di moduli non certificati o con certificazioni non rispondenti alla normativa di riferimento, purché il soggetto beneficiario della tariffa incentivante abbia intrapreso le azioni consentite dalla legge nei confronti dei soggetti responsabili della non conformità dei moduli e ne abbia fatto espressa istanza al GSE. La sanzione è, dunque, quella della decurtazione del 10% della tariffa base per l’energia prodotta dalla data di decorrenza della convenzione con il GSE, comunque escluse ulteriori maggiorazioni eventualmente concesse ad altro titolo, e con valenza anche per le strutture che avessero già beneficiato della precedente decurtazione del 20%.
Cliccando qui il testo integrale dell’art. 42 D.Lgs 28/2011 con tutte le modifiche richiamate nell’approfondimento.
Avv. Romina Zanvettor
Avv. Francesca Todeschini
Controlli e sanzioni in materia di incentivi per gli impianti da fonti di energia rinnovabile: l’art. 42 del Decreto Romani dalla sua entrata in vigore allo stato attuale
Il 31 dicembre 2019 Consap aveva pubblicato nel portale per la domanda al fondo indennizzo risparmiatori la notizia secondo cui la scadenza di invio delle domande era stata prorogata al 18 aprile 2020, anziché il 17 febbraio 2020. Tuttavia, all’inizio del mese di marzo, sono state molte le persone e associazioni in difesa dei risparmiatori a chiedere un’ulteriore proroga, per due motivi ben specifici:
• molti risparmiatori stanno ancora aspettando il rilascio della documentazione necessaria da parte di Banca Intesa Sanpaolo, nonostante le richieste e i solleciti fatti ormai da tempo;
• l’emergenza del Coronavirus che ha portato alla chiusura di alcuni sportelli e servizi a favore dei risparmiatori, aggravando la situazione e ritardando ulteriormente la compilazione della domanda.Queste richieste sono state ascoltate, infatti, il 16 marzo 2020 è stato pubblicato il decreto anti-COVID 19, il cosidetto decreto “Cura Italia”, che contiene le misure economiche destinate a fronteggiare la difficile situazione sanitaria ed economica che si sta vivendo in questo mese.
In particolare l’articolo 49, comma 2, stabilisce che “in considerazione dell’elevato numero dei risparmiatori interessati all’accesso delle prestazioni del FIR per la erogazione degli indennizzi e delle difficoltà operative nel rilascio da parte degli operatori creditizi competenti della documentazione bancaria necessaria, le disposizioni di cui al comma 2 modificano l’art. 1, comma 237, della legge 27/12/2019, n. 160, prevedendo un’ulteriore proroga della data ultima per il deposito delle istanze di indennizzo. Il termine del 18 aprile 2020 è prorogato al 18 giugno 2020”.
Inoltre viene garantito anche un anticipo del 40% dell’indennizzo concordato per chi ha la pratica già conclusa, secondo quanto segue: “le disposizioni di cui al comma 1, lettera b), modificano la disciplina indicata all’art 1, comma 497, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 in materia di indennizzo per gli obbligazionisti. Le modifiche in commento consentono alla Commissione tecnica, in attesa della predisposizione del piano di riparto, di autorizzare il conferimento di un anticipo pari al 40 per cento dell’importo dell’indennizzo deliberato dalla medesima Commissione tecnica a seguito del completamento dell’esame istruttorio”.
Vi terrò aggiornati.Avv. Romina Zanvettor
Proroga Indennizzo FIR: 18 giugno 2020
Come avviene la segnalazione alla Centrale dei Rischi e quali sono i danni risarcibili in caso di sua accertata illegittimità?
• Sono due i criteri che la Banca deve rispettare nell’eseguire la segnalazione: uno soggettivo e uno oggettivo.
• Il danno lamentato dal Cliente deve essere allegato e dimostrato in giudizio: ciò significa che non discende direttamente dall’avvenuta segnalazione, pur accertata come illegittima.
Criteri per valutare la legittimità della segnalazione:
– soggettivo: riguarda la necessità per la Banca di effettuare una compiuta valutazione complessiva dello stato di insolvenza del Cliente, sia economica che patrimoniale. La Banca deve operare valutazioni che riguardano: la liquidità, la capacità produttiva e reddituale, la situazione del mercato in cui il cliente opera, l’ammontare del credito, il tutto rapportato temporalmente al momento della determinazione ad effettuare la segnalazione. Spesso, però, la Banca segnalante è sprovvista di tali specifiche informazioni e spesso queste informazioni, anche se di segno negativo, non necessariamente conducono al venir meno di una generale solvibilità del soggetto, ma “solo” a una temporanea, seppur grave, difficoltà.
– oggettivo: riguarda l’accertamento, caso per caso, della sussistenza dello stato di insolvenza o di situazione ad esso comparabile.
Cosa si intende per insolvenza.
Nel glossario dei significati della Banca d’Italia lo “stato di insolvenza” viene così definito: “incapacità non transitoria di adempiere alle obbligazioni assunte”. Trattandosi di definizione generica, alle Banche è stato lasciato ampio margine di arbitrarietà nel considerare assimilabili allo stato di insolvenza situazioni che, di fatto, non sono “sofferenti”.
Il sistema così strutturato ha generato un consistente contenzioso per contenere l’arbitrarietà delle Banche nelle valutazioni delle singole situazioni e giungere a una rielaborazione più precisa e costituzionalmente orientata del concetto di insolvenza.
La casistica delle pronunce giurisprudenziali sul punto riguarda, in buona sostanza, i seguenti principali eventi che possono causare l’esclusione, o quantomeno sospensione, dell’insolvenza lamentata dalla Banca verso cliente:
– volontà manifesta del debitore di adempiere alla propria obbligazione e
– proposta di un piano di rientro dilazionato.
In tale ultimo caso, in particolare, sulla Banca grava un cosiddetto dovere di protezione del proprio cliente – definito per espressa disposizione di legge “contraente più debole” –, il quale manifesta la volontà di adempiere al pagamento del proprio debito, seppur in tempi più lunghi rispetto a quelli originariamente discendenti dal contratto. In tali ipotesi, una segnalazione alla Centrale Rischi comporterebbe una violazione del principio di buona fede contrattuale, che è un principio di portata generale da invocare nella analisi degli equilibri contrattuali e da verificare caso per caso. L’accertamento in giudizio della violazione di tale principio comporta responsabilità contrattuale e obbligo risarcitorio da parte della Banca.
Attenzione però a proporre piani di rientro non ragionati o fai da te: non soltanto perché possono comportare, se non adeguatamente formulati, un riconoscimento di debito utilizzabile in successivo giudizio da parte della Banca, ma soprattutto perché, se l’intenzione occulta è quella di versare una o due rate e sospendere il pagamento, le conseguenze potrebbero essere peggiori per il debitore.
È necessario, quindi, formulare e proporre piani di rientro oggettivamente sostenibili che presuppongano una idonea due diligence e la previsione di determinate clausole di riserva a tutela delle parti.
La segnalazione è illegittima in caso di:
mancato preavviso: l’intermediario deve preavvertire il cliente almeno 15 giorni prima di procedere alla segnalazione;
errata valutazione dell’intermediario circa lo stato finanziario-patrimoniale del soggetto segnalato “a sofferenza”: l’analisi imposta alla Banca deve essere positiva nel rinvenire una effettiva situazione di insolvenza apprezzabile come grave e non come transitoria difficoltà economica.
I Giudici di merito (i Tribunali) ritengono, quindi, che non sia conforme alla buona fede il comportamento dell’Istituto di Credito che segnali automaticamente l’esposizione di un proprio Cliente, senza averlo preventivamente informato della sua situazione affinché, ove possibile, egli potesse provvedere a ripianarla e soprattutto senza avvisarlo che, a partire da una certa data, quella situazione lo esponeva alla segnalazione in Centrale Rischi.
Secondo la Cassazione Civile “ciò che rileva è la situazione oggettiva di incapacità finanziaria (“incapacità non transitoria di adempiere alle obbligazioni assunte”) mentre nessun rilievo assume la manifestazione di volontà di non adempiere, se giustificata da una seria contestazione sull’esistenza del titolo del credito vantato dalla banca”.
In altro caso, è stata ritenuta illegittima la segnalazione in ipotesi di “valutazione negativa di una situazione patrimoniale apprezzata come deficitaria, ovvero di grave (e non transitoria) difficoltà economica, senza, cioè, fare necessario riferimento all’insolvenza intesa quale situazione di in capienza, ovvero di definitiva irrecuperabilità”.
Il danno patrimoniale e non patrimoniale risarcibile:
Il soggetto che assume l’illegittimità della segnalazione a sofferenza del proprio nominativo alla centrale dei rischi deve fornire – nel giudizio intentato contro la Banca segnalante – la prova dell’illegittimità della segnalazione, come sopra detto, e di aver subito, in conseguenza di ciò, un concreto pregiudizio patrimoniale (perdita di danaro) o non patrimoniale (danno all’immagine e alla reputazione).
Alcuni esempi di danno risarcibile, se provato:
• smobilizzazione di investimenti per far fronte alla difficoltà economica;
• perdita di opportunità imprenditoriali a causa dell’interruzione della linea di credito;
• impossibilità di accedere a nuove linee di credito;
• revoca di concessioni dei crediti esistenti;
• danno reputazionale (commerciale e personale) e all’immagine dell’azienda e alla onorabilità.
La prova caso per caso
Non sono, quindi, ricevibili richieste di risarcimento danni generiche: di qui la denominazione del
• “danno conseguenza”: si tratta di fornire non necessariamente l’esatta quantificazione, ma le specifiche conseguenze concrete discendenti dal fatto della segnalazione. È considerata in alcuni casi ammissibile anche la presunzione (es. derivante dalla durata della segnalazione) purché le allegazioni siano adeguate e complete.
La Cassazione Civile con recentissima sentenza del 20 febbraio 2020 n. 4334 (conforme a Tribunale di Treviso sentenza n. 15.02.2019) ha ribadito che “Il danno all’immagine e alla reputazione commerciale per illegittima segnalazione alla Centrale Rischi, poiché costituisce danno conseguenza, deve essere specificamente allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento”.
Ne consegue l’assoluta importanza di redarre di atti giudiziali contenenti allegazioni puntuali e richieste di prove di danni dimostrabili.Le fonti legislative
Le fonti relative alla Centrale Rischi si rinvengono nelle seguenti norme:– Art. 53, comma 1, lett. b), T.U.B., che attribuisce alla Banca d’Italia, in conformità alle deliberazioni del CICR, il potere di emanare disposizioni di carattere generale concernenti il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni;
– Art. 67, comma 1, lett. b), T.U.B., che attribuisce alla Banca d’Italia, in conformità alle deliberazioni del CICR, la facoltà di impartire alla capogruppo, con provvedimenti di carattere generale o particolare, disposizioni concernenti il gruppo bancario complessivamente considerato o i suoi componenti, aventi ad oggetto il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni;
– Art. 107, comma 2, T.U.B., che attribuisce alla Banca d’Italia, in conformità alle deliberazioni del CICR, il compito di dettare agli intermediari iscritti nell’elenco speciale contemplato in tale articolo disposizioni aventi ad oggetto il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni;
– Art. 51 T.U.B., che dispone che le Banche inviino alla Banca d’Italia, con le modalità̀ e i termini da essa stabiliti, le segnalazioni periodiche, nonché ogni altro dato e documento richiesto;
– L’obbligo di preavviso della segnalazione si rinviene dalle previsioni di cui all’art. 125, comma 3, T.U.B., di cui all’art. 4 comma 7 del Codice in materia di protezione dei dati personali – Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti, e di cui alla Circolare 139 in data 11.2.1991 della Banca d’Italia; in caso di segnalazione a sofferenza, il riferimento deve essere inteso al capitolo 2, sezione II, paragrafo 1.5 della circolare 139/1991, la quale prevede che “gli intermediari devono informare per iscritto il cliente e gli eventuali coobbligati (garanti, soci illimitatamente responsabili) la prima volta che lo segnalano a sofferenza”, pur se “tale obbligo non configura in alcun modo una richiesta di consenso all’interessato per il trattamento dei suoi dati”.
– Delibera CICR 29 marzo 1994, che detta i principi generali relativi al servizio di centralizzazione dei rischi (carattere riservato, obbligo di riservatezza a carico degli intermediari partecipanti al servizio verso qualsiasi soggetto estraneo a tale sistema, diritto di accesso ai propri dati personali a favore delle persone censite nelle anagrafi della Centrale rischi);
– Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 “Centrale dei rischi. Istruzioni per gli intermediari creditizi” 15° aggiornamento – giugno 2016;
– Gli intermediari segnalanti sono tenuti a fornire alla Banca d’Italia i dati relativi all’indebitamento della clientela ai fini dello svolgimento del servizio centralizzato dei rischi in base agli artt. 51, 66, comma 1, e 107, comma 3, del citato Testo unico;
– Art. 4, del Codice di deontologia e buona condotta per i sistemi informativi gestiti da privati in tema di crediti al consumo, emanato ai sensi dell’art. 40 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, (relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati) indica i requisiti e le categorie di dati che interessano le segnalazioni in sistemi di informazioni creditizie (SIC).Avv. Romina Zanvettor
Avv. Francesca Todeschini
L’illegittima segnalazione “a sofferenza” alla Centrale dei Rischi e il “danno conseguenza” per l’imprenditore.