Archivio annuale 2020

Rimborso delle addizionali provinciali alle accise sull’energia: esiti delle recenti sentenze della Corte di Cassazione e posizione del MEF

L’applicazione dell’addizionale provinciale ai consumi di qualsiasi uso di energia elettrica, effettuati in locali e luoghi diverse dalle abitazioni, è stata introdotta dal D.L. n. 511/1988, convertito con modificazioni dalla L. 27.01.1989 n. 20 (clicca qui).

L’addizionale dell’accisa è stata applicata sul prelievo di energia elettrica fino alla sua abrogazione, a far data dal 01.01.2012, a seguito del rischio di apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia da parte dell’Unione Europea, per incompatibilità della suddetta normativa con il diritto comunitario.

  • Possibilità di chiedere il rimborso.

Uno degli aspetti più rilevanti dell’argomento in discorso è quello di stabilire a chi spetta il diritto a richiedere il rimborso ed entro quale termine.

I soggetti coinvolti nella vicenda sono:

  • il soggetto responsabile qualificabile come venditore o fornitore di energia, oppure titolare di pacchetto fiscale per uso proprio (impianti con potenza superiore a 200 kWh);
  • il cliente finale (qualificabile come il titolare di utenze elettriche non domestiche – impianti fino a 200.000);
  • Amministrazione finanziaria (nella specie Autorità doganale), quale ente impositore.

Con la sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 26.03.2019 n. 27101, depositata il 23.10.2019, i Giudici di legittimità hanno rilevato l’effettiva incompatibilità della norma italiana, istitutiva dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, rispetto alla normativa dell’Unione Europea e statuito la sua disapplicazione.

Questo il principio di diritto dettato dalla nuova giurisprudenza: “L’addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica di cui all’art. 6 D.L. n. 511/1988, come modificata dall’art. 5, comma 1, D.Lgs 26/2007, va disapplicata per contrasto con l’art. 1, comma 2, Direttiva n. 2008/118/CE, per come interpretati dalla Corte di Giustizia della UE”.

Inoltre, con altra sentenza del 23.10.2019 n. 27099, la Corte di Cassazione ha ulteriormente precisato che “Il consumatore finale di una fornitura di energia elettrica sulla quale siano state addebitate le imposte addizionali, può esperire, in sede civilistica, l’ordinaria azione di ripetizione dell’indebito direttamente nei confronti dell’erogatore del servizio”.

Le ultime forniture di energia elettrica sottoposte all’imposizione fiscale per le quali si può chiedere il rimborso sono, dunque, quelle risalenti agli anni 2010/2011.

Il verdetto della Corte di Cassazione ha riacceso gli entusiasmi per la partita iniziata all’indomani dell’abrogazione della norma, soppressa – come sopra detto – con decorrenza 2012, e ha dato il via alle immediate richieste di rimborso per i titolari di utenze con non poche questioni controverse.

Una delle due citate sentenze, la n. 27099/2019, riguarda proprio il caso di un utente finale che ha visto riconosciuto effettivamente il proprio diritto a essere rimborsato da parte del venditore di energia e non dell’Ente impositore.

Secondo i Giudici di legittimità, infatti:

  • l’imposizione fiscale dell’accisa provinciale è illegittima;
  • ai soggetti obbligati al versamento dell’imposta spetta il diritto al rimborso contro la P.A. che ha riscosso il tributo;
  • ai consumatori finali spetta il diritto di rimborso contro il fornitore di energia elettrica che a suo tempo lo ha fatturato, a titolo di rivalsa prevista per legge, al consumatore finale.
  • Il modo e i tempi con i quali vanno esercitati tali i diritti da parte dei soggetti sopra indicati sono però differenti a seconda del diverso rapporto intercorrente tra loro.
  •  d. Rapporto di imposta tra Ente impositore e soggetto obbligato (fornitore o titolare cassetto fiscale)
  • d. Rapporto di rivalsa tra fornitore di energia e il consumatore finale

Pertanto:

in relazione al rapporto di imposta:

  • i soggetti obbligati al versamento avevano diritto a chiedere il rimborso all’Ente impositore entro due anni dall’abrogazione della norma in discorso (e quindi con decorrenza 2012)

in relazione al rapporto di rivalsa:

  • i consumatori finali hanno diritto ad agire per il rimborso contro il fornitore di energia elettrica entro 10 anni decorrenti dall’abrogazione della norma impositrice dell’accisa provinciale (entro l’anno 2020/2021).

Ulteriore corollario – pure evidenziato dalle sentenze citate – è il seguente:

  • nell’ipotesi in cui i fornitori di energia vengano citati in giudizio dal consumatore finale e condannati al rimborso, potranno, entro 90 giorni dal deposito della sentenza di condanna, agire a propria volta contro l’Ente impositore.

In buona sostanza, tra il venditore di energia tenuto verso il fisco per il pagamento dell’accisa intercorre un rapporto di tipo tributario, la cui normativa di riferimento prevede un termine breve di decadenza – di due anni – per avanzare la richiesta di rimborso per il tributo non dovuto o dichiarato non dovuto, come nel caso di specie.

Tra il fornitore di energia e il consumatore finale (aziende consorzi e altri titolari di utenze non domestiche) intercorre un rapporto di natura civilistica, per il quale, il diritto al rimborso si prescrive in dieci anni, decorrenti dall’abrogazione dell’imposta.

Ne consegue che ogni società consumatrice finale di energia elettrica, con consumi fino a 200.000 kWh mensili, cui siano state addebitate le imposte addizionali relative agli anni 2010/2011 può agire in sede civilistica verso la società fornitrice – con ordinaria azione di ripetizione di indebito – usufruendo di un termine più ampio di quello assegnato alla società venditrice per l’esercizio del proprio diritto di rimborso verso lo Stato.

Le società fornitrici, invece, avrebbero dovuto attivarsi subito, all’indomani dell’abrogazione della norma in discorso, entro cioè i successivi due anni dalla data del pagamento delle addizionali. Nel caso di loro condanna verso l’utente finale, avranno comunque termine di 90 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza, per chiedere ed ottenere il rimborso non ottenuto prima.

  • Cosa succede se il fornitore di energia non può essere escusso positivamente?

La sentenza n. 27099/2019 sopra citata ha, inoltre, ricordato l’esistenza del principio di effettività (di recupero delle imposte indebitamente versate), quale generale principio di origine sovranazionale e la necessità di garantirne l’effettiva applicazione, spettando agli Stati membri la previsione di idonei strumenti per raggiungere tale scopo.

In altre parole, ha affermato la Corte Capitolina “soltanto se il rimborso risulti impossibile o eccessivamente difficile, il principio di effettività può imporre che l’acquirente del bene sia legittimato ad agire per il rimborso direttamente nei confronti delle autorità tributarie (come nel caso del fallimento del venditore deciso dalla Corte di Giustizia CGUE 27 aprile 2017, causa C-564/15).

Il fruitore dei beni può dunque ottenere il rimborso dell’imposta illegittimamente versata (esperendo nei confronti del cedente un’azione di ripetizione di indebito di rilevanza civilistica ed) eccezionalmente un’azione diretta nei confronti dell’Erario, ove venga dedotta in relazione all’azione nei confronti del fornitore la violazione del principio di effettività”.

Spetterà all’istante –sempre secondo quanto statuito dalla Suprema Corte –  allegare e dimostrare i presupposti della propria legittimazione straordinaria:

  • che il proprio fornitore, soggetto passivo legittimato a richiedere il rimborso, abbia non abbia avuto la possibilità di chiedere il rimborso e che non abbia proposto la relativa domanda oppure che sia stato condannato definitivamente e sia rimasto inadempiente.

Risulta importante quindi affidarsi agli esperti del settore per valutare bene caso pe caso.

  • Quale diritto hanno gli altri soggetti obbligati -diversi dal venditore di energia- che hanno versato l’accisa provinciale direttamente all’Ente impositore?

 Come sopra accennato, tra gli obbligati al pagamento dell’accisa in questione figurano, oltre ai fornitori di energia, i titolari di deposito fiscale dal quale avviene l’immissione in consumo (art. 4 comma 4, lettera a Testo Unico sulle accise D.Lgs. 504 26.10.1995 e successive modifiche).

Si tratta di soggetti operatori economici i quali dispongono di strutture ove custodire i prodotti nazionali e di provenienza comunitaria, in sospensione da accisa, in attesa di procedere all’attribuzione della destinazione finale al consumo. Anche per tali soggetti, quindi, il rapporto con l’Ente impositore è un rapporto di imposta, come sopra detto per i fornitori di energia.

Il diritto al rimborso di accisa illegittimamente pagata e il termine per il suo esercizio è disciplinato dall’art. 14 del TUA (testo unico accise) il quale dispone “L’accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata” e il rimborso “deve essere chiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data di pagamento”.

Per l’individuazione dei soggetti titolari di tale diritto, bisogna ricorrere al disposto dell’art. 19, primo comma, D.L. 30.09.1982 n. 688 – conv. in L.27.11.1982 n. 873 –  a mente del quale “chi ha indebitamente corrisposto diritti doganali (…omissis…) ha diritto al rimborso delle somme pagate quando prova documentalmente che l’onere non è stato in qualsiasi modo traferito su altri soggetti”.

Quindi, data per pacifica l’esistenza in capo a tali soggetti del diritto alla richiesta di rimborso, e la loro equiparazione ai soggetti obbligati nel rapporto di imposta con la pubblica amministrazione, ne consegue che, anche ad essi, si applica il termine biennale, con decorrenza dal momento dell’abrogazione della norma (decorrenza 2012).

Concludendo quindi, per questi soggetti – allo stato attuale – è inibita in quanto prescritta- la possibilità di richiedere il rimborso.

Viene quindi rilevato, da più parti come, in tale contesto, si sia creata una ingiusta differenziazione delle posizione degli auto produttori di energia elettrica, ovvero consorzi e/o consumatori grossisti, la cui azione (necessariamente diretta all’amministrazione finanziaria) è inibita dall’intervenuta decadenza (tali soggetti infatti – come detto – al pari del venditori di energia – devono chiedere il rimborso entro due anni) rispetto alle posizioni delle società consumatrici finali che possono invece beneficiare del più ampio termine prescrizionale (decennale) applicabile in sede civile per la ripetizione di indebito.

  • Qual è la posizione del MEF?

Per fare chiarezza sulla spinosa questione la Confindustria ha presentato un’istanza al Ministero dell’Economia e delle Finanze volta ad ottenere un intervento legislativo urgente che attribuisca alle società consumatrici di energia elettrica il diritto di agire nei confronti dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

A tale istanza il MEF ha fornito riscontro negativo in quanto l’attuale procedura amministrativa di azione di rimborso non può essere modificata.

Il MEF ha ipotizzato una possibile alternativa dichiarandola però di difficile attuazione, che preveda un sistema di ‘rimborso spontaneo da parte della società fornitrice che, poi, avrebbe la possibilità di agire a propria volta contro l’Ente impositore.

A presto con nuovi sviluppi sul tema.

Avv. Romina Zanvettor

Avv. Francesca Todeschini

Rimborso delle addizionali provinciali alle accise sull’energia: esiti delle recenti sentenze della Corte di Cassazione e posizione del MEF

Misure fiscali per aiutare il fotovoltaico

Per fronteggiare l’emergenza sanitaria, anche le imprese del settore fotovoltaico sono state colpite dalle limitazioni alle attività produttive. Per quanto riguarda quali attività sono permesse e quali no, ha precisato che sono consentite tutte quelle attività di manutenzione che hanno carattere urgente o necessario, ad esempio ripristinare la funzionalità di un impianto che ha subito un guasto; al contrario sono sconsigliate le attività di manutenzione ordinaria e quelle per installare nuovi impianti. Tuttavia la situazione è incerta, dal momento che alcune regioni hanno autorizzato delle attività che erano state escluse dal Dpcm del 10 aprile 2020, come ad esempio l’edilizia libera nelle Marche e in Liguria.

Per quanto riguarda il tema fiscale, c’è il decreto “Cura Italia” che presenta una serie di misure per il settore fotovoltaico, in primo luogo sono stati sospesi tutti i versamenti di marzo, per le imprese con ricavi inferiori a 2 milioni di euro, fino al 31 maggio 2020, da pagare in un’unica soluzione o in cinque rate mensili. In secondo luogo è stato deciso che i lavoratori autonomi con un fatturato inferiore a 400.000 euro nell’anno 2019 e senza costi per dipendenti e assimilati per il mese di  febbraio 2020, abbiano la possibilità di richiedere la non applicazione delle ritenute d’acconto ai loro committenti, incassando quindi le fatture al lordo delle ritenute del 20% con l’obbligo di versarle in seguito, entro la scadenza del 31 maggio.

E’ stato poi varato il decreto Liquidità, con il quale sono stati sospesi i versamenti per Irpef, Ires, Iva e contributi anche per maggio e aprile, rinviando la scadenza al 30 giugno 2020, con la possibilità di rateizzare i pagamenti in un massimo di cinque rate mensili.

Il nuovo decreto ha apportato anche alcune novità:

  • le imprese e i lavoratori autonomi, con ricavi o compensi inferiori o pari a 50 milioni di euro, possono sospendere i versamenti a condizione che abbiano avuto nei mesi di marzo e-o aprile un calo del fatturato di almeno il 33% rispetto agli stessi mesi del 2019;
  • le aziende e i professionisti con ricavi o compensi annuali superiori a 50 milioni di euro, possono sospendere i versamenti se hanno registrato un calo del fatturato di marzo e-o aprile di almeno il 50% rispetto agli stessi mesi dell’anno scorso;
  • i lavoratori autonomi, con un fatturato annuo inferiore a 400.000 euro, hanno la possibilità di sospendere l’applicazione delle ritenute d’acconto anche per i compensi riferiti ad aprile e maggio, con l’obbligo di versare le ritenute entro il termine del 31 luglio 2020 oppure in cinque rate mensili di pari importo a partire da luglio.

Altre misure fiscali che interessano il settore fotovoltaico: sono stati sospesi e rimandati al 30 giugno la Dichiarazione annuale energia elettrica per il 2019, gli adempimenti relativi ai modelli Intrastat, che certificano gli scambi intracomunitari di beni e servizi, e la maggior parte degli adempimenti tributari in scadenza in tale periodo.

Tornando, invece, al decreto “Cura Italia”, è stato introdotto un nuovo meccanismo per monetizzare le attività per imposte anticipate, ammettendo la trasformazione in crediti d’imposta anche quando le attività non siano state ancora iscritte in bilancio, per favorire la cessione dei crediti deteriorati e così sostenere la liquidità delle imprese.

Vi terrò aggiornati.

Avv. Romina Zanvettor

Misure fiscali per aiutare il fotovoltaico

Green New Deal e Coronavirus

In tema di energia rinnovabile, l’emergenza sanitaria in corso ha reso difficile all’Italia raggiungere gli obiettivi ambiziosi che si era posta, dato il blocco di tutte le attività; tuttavia si ritiene che una volta finita questa pandemia bisognerà investire proprio nel settore delle rinnovabili per far ripartire il Paese.
Trentadue associazioni del settore energetico hanno richiesto in una lettera indirizzata alla Commissione Ue, all’Europarlamento e ai Governi e Parlamenti nazionali di sostenere il progetto “Green New Deal” per far ripartire l’Europa, progetto ideato dopo l’entrata in vigore del Decreto FER1 nell’agosto 2019, che prevede investimenti di un miliardo di euro all’anno per una stima di sviluppo di circa 8 gigawatt di capacità di nuova energia da fonti rinnovabili, e procedure di registro e asta per accedere ai meccanismi d’incentivazione dell’energia elettrica.
Le associazioni chiedono di integrare al Green New Deal dei pacchetti di stimolo economico nazionali ed europei per accelerare gli investimenti nell’efficienza energetica, nelle rinnovabili, nell’elettricità, nella mobilità, nell’edilizia e nei processi industriali, sostenendo che tali incentivi nelle infrastrutture e nelle soluzioni innovative a zero emissioni di CO2 sarebbero il modo migliore per supportare la ripresa economica sia a livello nazionale che sovranazionale e, inoltre, preparerebbero il terreno a un sistema energetico sicuro e sostenibile.
Con una seconda lettera inviata al vice-presidente esecutivo della Commissione Ue responsabile del Green New Deal, le associazioni hanno avvertito che alcuni Stati membri stanno valutando l’introduzione di deroghe ai loro obblighi di miscelazione, aggravando gli impatti dell’emergenza sanitaria che già pesano sul settore e portando rapidamente alla chiusura di impianti produttivi, con conseguenti effetti negativi sul funzionamento del mercato interno Ue dei carburanti e sul Green New Deal europeo.
Della stessa opinione è il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, che ha dichiarato l’importanza di accelerare e rendere primari i temi legati all’economia circolare, all’efficienza energetica, alla gestione dei rifiuti e alla riduzione delle emissioni; in poche parole il Green New Deal europeo.
Secondo il Ministro, è questo il momento di incentivare aziende e privati cittadini a spostarsi verso sistemi tecnologici meno impattanti, inserendo un credito di imposta per le imprese e un ecobonus per i cittadini. Inoltre, è del parere che non si dovrà cedere alla tentazione di imporre delle deroghe sui limiti di inquinamento quando la crisi sarà finita, ma piuttosto di aiutare concretamente a inquinare di meno, attraverso strumenti che agevolino il concreto cambiamento del paradigma produttivo.
Investire nel Green New Deal non significa, dunque, ignorare l’emergenza sanitaria, ma anzi, permettere risorse fresche per risollevare un’economia minacciata dal coronavirus, e contemporaneamente indirizzarne lo sviluppo in modo che possa divenire più sostenibile.
Vi terremo aggiornati.

Avv. Romina Zanvettor
Avv. Francesca Todeschini

Green New Deal e Coronavirus

Settore Fotovoltaico: 10 trend per il 2025

L’utilizzo dell’energia rinnovabile è cresciuto notevolmente, e si prevede che nei prossimi 5-10 anni il suo ruolo crescerà a tal punto da diventare la principale fonte enrgetica, in particolare l’energia solare è la fonte più rilevante di energia rinnovabile. Anche l’Italia subirà un’evoluzione cercando di raggiungere l’obiettivo prefissato dalla comunità internazionale, cioè di aggiungere 30 GW di nuova capacità installata entro il 2030. Per questo motivo, dato che si espanderà la produzione di energia rinnovabile, sarà necessario garantire sicurezza, affidabilità e un rapporto costi-benefici favorevole tra gli asset energetici, inoltre sarà indispensabile avere la tecnologia adeguata a supporto della gestione degli impianti fotovoltaici. In risposta a questa esigenza e con lo sviluppo delle tecnologie ICT, sono stati identificati da Huawei dieci trend emergenti per il settore fotovoltaico in previsione del 2025.
I quattro fattori su cui si basano questi trend sono:
• costo medio ponderato dell’energia elettrica (LCOE);
• compatibilità con la rete elettrica;
• convergenza intelligente;
• sicurezza e affidabilità.
I seguenti dieci trend mirano a guidare l’industria verso soluzioni intelligenti ed ecocompatibili, promuovendo un rapido sviluppo dell’industria energetica.
1) DIGITALIZZAZIONE
Nonostante il settore fotovoltaico sia in espansione, vengono ancora utilizzati molti dispositivi obsoleti negli impianti fotovoltaici, sia per quanto riguarda la generazione energetica sia per le comunicazioni, che non possono essere efficacemente monitorati né possono segnalare malfunzionamenti. Con il rapido sviluppo di tecnologie digitali come 5G e cloud, si prevede che oltre il 90% degli impianti fotovoltaici saranno totalmente digitalizzati entro il 2025, facendo sì che la loro gestione diventi semplice, intelligente ed efficiente.
2) AGGIORNAMENTI BASATI SULL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Oltre il 70% degli impianti fotovoltaici utilizzerà l’intelligenza artificiale, che faciliterà il rilevamento reciproco e l’interconnessione tra i dispositivi, oltre a migliorare la produzione di elettricità e l’efficienza O&M attraverso l’ottimizzazione collaborativa. L’intelligenza artificiale può consentire nuove possibilità per i sistemi fotovoltaici come l’identificazione proattiva e la prevenzione dei guasti del modulo fotovoltaico e degli inverter con algoritmi di diagnosi IA. L’ottimizzazione dell’algoritmo di tracker per gestire grandi volumi di dati dell’impianto e l’autoapprendimento consentiranno rendimenti più elevati uniti alla sinergia di stoccaggio dell’energia solare assistito dall’IA per ottimizzare automaticamente la redditività dell’impianto fotovoltaico.
3) AUTOMAZIONE DEGLI IMPIANTI FOTOVOLTAICI
Oltre l’80% degli impianti fotovoltaici risulterà automatizzato. Con la diffusione dell’IA e dell’Internet of Things (IoT) prodotti e servizi intelligenti renderanno più vantaggiosa l’intera soluzione fotovoltaica. Con l’avvento di algoritmi di autoapprendimento continuo, l’IA sarà ampiamente utilizzata per sostituire gli esperti di O&M in molte funzioni diagnostiche e decisionali. L’ispezione tramite l’utilizzo di droni e l’O&M automatizzato basato su robot permetterà di gestire lavori di O&M pericolosi e ripetitivi che richiedono un elevato e continuo grado di precisione per una maggiore produttività e sicurezza negli impianti fotovoltaici.
4) SUPPORTO PROATTIVO PER LE RETI ELETTRICHE
Gli impianti fotovoltaici passeranno dall’”adeguamento alla rete” al “supporto alla rete”. In particolare gli inverter dovranno possedere capacità, necessarie per il collegamento alla rete, come l’adattabilità del rapporto di corto circuito (SCR), la capacità di controllare la corrente armonica entro l’1%, il passaggio continuo dall’alta alla bassa tensione e la regolazione rapida della frequenza.
5) SOLARE + STORAGE
La percentuale di impianti fotovoltaici associati allo stoccaggio di energia supererà il 30% entro il 2025. Con la maggiore penetrazione di nuove fonti energetiche, le reti elettriche avranno requisiti sempre più stringenti per la regolazione della frequenza e il “peak shaving” (procedimento in cui si immagazzina energia quando la domanda è bassa per rilasciarla quando invece la domanda elettrica è alta). L’abbinamento diventerà un elemento critico, anche in virtù della costante diminuzione dei costi delle batterie.
6) CENTRALI ELETTRICHE VIRTUALI
L’80% dei sistemi residenziali si connetterà con le reti Virtual Power Plant (VPP). Lo sviluppo della tecnologia VPP ispirerà nuovi modelli di business e attirerà nuovi attori del mercato in scenari fotovoltaici distribuiti, fungendo da motore di crescita per il fotovoltaico distribuito.
7) SICUREZZA ATTIVA
A seguito del vasto impiego del fotovoltaico distribuito, la sicurezza degli edifici e delle persone è diventata una delle maggiori preoccupazioni. Per mitigare tali rischi, AFCI diventerà una funzione standard per i sistemi fotovoltaici distribuiti su tetto e sarà incorporata negli standard industriali internazionali.
8) MAGGIORE DENSITA’ DI POTENZA
La tendenza di un LCOE (Levelized Cost Of Energy) inferiore di energia solare, richiede requisiti più elevati con una maggiore potenza di un singolo modulo e facile manutenzione dell’inverter. Obiettivo che si potrà raggiungere aumentando la densità di potenza. Con scoperte importanti nella ricerca di semiconduttori a banda larga, come SiC e GaN, nonché algoritmi di controllo avanzati, la densità di potenza dell’inverter dovrebbe aumentare di oltre il 50% nei prossimi 5 anni.
9) DESIGN MODULARE
Inverter, PCS e dispositivi di accumulo dell’energia, componenti principali in un impianto fotovoltaico che influiscono notevolmente sulla disponibilità dell’intero impianto fotovoltaico, adotteranno un design modulare. Il design modulare diventerà mainstream, poiché consente un’implementazione flessibile, un’espansione regolare e una manutenzione senza l’intervento di tecnici, riducendo notevolmente i costi di O&M migliorandone la disponibilità del sistema.
10) SICUREZZA E AFFIDABILITA’
L’aumento della capacità di storage degli impianti fotovoltaici globali e una maggiore complessità dell’architettura di rete, aumentano i rischi per la sicurezza della rete degli impianti FV, pertanto sono diventati più rigorosi i requisiti di privacy e sicurezza degli utenti per gli impianti FV distribuiti. Tutte queste considerazioni suggeriscono che gli impianti fotovoltaici devono possedere avanzati requisiti di sicurezza e affidabilità, disponibilità, resilienza e privacy.

Vi terrò aggiornati.

Avv. Romina Zanvettor

Settore Fotovoltaico: 10 trend per il 2025

Il contratto di fideiussione omnibus redatto secondo schema ABI è nullo?

Il tema di oggi riguarda i contratti di prestazione di garanzia contenenti clausole riproduttive di uno schema elaborato nel 2003 dall’Associazione Bancaria Italiana (ABI clicca qui).

La Banca d’Italia, nella sua qualità di Autorità Garante tra gli istituti di credito (clicca qui), con delibera n. 55 del 02.05.2005, ha dichiarato la nullità dello schema ABI in questione perché frutto di un’intesa restrittiva della libertà di concorrenza.

La norma violata è quella dell’art. 2 Legge 287/1990 – c.d. Legge Antitrust- contenente norme per la tutela della libertà di concorrenza e del mercato.

La fideiussione omnibus è una garanzia personale che, se stipulata, impone al garante il pagamento di tutti i debiti, presenti e futuri, che il debitore principale ha assunto o, peggio ancora, assumerà nei confronti del creditore (nella prassi spesso un Istituto di Credito) in dipendenza di qualsiasi operazione.

Un caso di scuola come esempio di fattispecie tipo.

Nell’anno 2007, il Signor Rossi presta fideiussione omnibus alla Banca Beta, a garanzia di tutti i debiti assunti dalla Ditta Delta, in conseguenza di un contratto di mutuo fondiario.

Quasi dieci anni dopo, la Ditta Delta diviene morosa nel pagamento di una serie di rate consistenti del prestito e subisce, quindi, l’azione di recupero da parte della Banca Beta, che procede con pignoramento immobiliare anche sui beni del Sig. Rossi ipotecati in forza del rilascio della garanzia (discorso analogo si può fare anche nel caso in cui la Banca decida di procedere – e può farlo- anche nei soli confronti del garante).

Il Rossi, si oppone al pignoramento sostenendo la nullità del contatto di garanzia in quanto conforme allo schema ABI dichiarato anticoncorrenziale per violazione dell’art. 2 Legge 287/1990 (clicca qui).

Laddove venisse accolta la domanda del Rossi, e, dunque accertata e dichiarata la nullità, anche solo parziale del contratto in discorso, la garanzia non avrebbe più effetto e il Rossi non sarebbe tenuto a versare alcunché alla Banca Beta. In altre parole la già dichiarata invalidità a monte dello schema predisposto dall’ABI, ricadrebbe a valle sul contratto di garanzia.

Questo è un caso tipico che sta alla base della maggior parte delle decisioni in materia. E’ tuttavia necessario ricordare che:
– vale sempre la regola per cui ogni situazione è a sé stante;
– è sempre necessario svolgere le proprie difese nei tempi e modi previsti dal codice di procedura civile, prima che la questione giunga alla fase dell’esecuzione forzata.

Le tappe della vicenda.

Il parere n. 55 del 02.02.2005 è stato pubblicato in esito a un apposito procedimento istruttorio promosso dalla Banca d’Italia e volto ad accertare se le previsioni dello schema negoziale sopra citato potessero assumere caratteri anticoncorrenziali. A tal fine venne acquisito il parere 22.08.2003 dell’AGCM.
L’anticoncorrenzialità delle clausole è stata in particolare ravvisata nella loro attitudine ad addossare al garante le conseguenze negative derivanti dell’inosservanza degli obblighi di diligenza imposto alla Banca, ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa, piuttosto che a garantire l’accesso al credito.

All’esito del procedimento, la Banca d’Italia ha emanato il provvedimento n. 55, accertando che alcuni degli articoli dello schema predisposto dall’ABI (artt. 2, 6 e 8), per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie, contenessero disposizioni che, ove applicate in modo uniforme, risultavano in contrasto con l’art. 2 della Legge Antitrust. La Banca d’Italia ha, inoltre, invitato l’ABI a diffondere nel sistema bancario un nuovo schema depurato di tali clausole invalide.

L’orientamento della giurisprudenza sul punto.

La competenza a decidere in tale materia è riservata (competenza funzionale) al cosiddetto Tribunale delle Imprese. Si tratta di sezioni specializzate istituite -ex art. 33 Legge 287/1999- presso i Tribunali e le Corti d’Appello aventi sede nel capoluogo di ogni Regione, con eccezione di Lombardia, Trentino Alto Adige e Sicilia (in cui sono presenti due sedi) e della Valle D’Aosta (in cui non sono presenti sedi, poiché la competenza spetta a Torino).

La valutazione che i Tribunali sono chiamati a fare nei singoli casi rimessi alla loro decisione è quella di analizzare l’incidenza dell’intesa (o quantomeno del comportamento distorsivo della concorrenza attuato mediante predisposizione di uno schema generale) sui singoli contratti stipulati dagli Istituti di credito con i propri clienti.

L’orientamento della giurisprudenza – soprattutto quella dei Tribunali – sul punto, non è affatto univoco. Viene, infatti, sostenuto che la standardizzazione contrattuale non produca necessariamente effetti anticoncorrenziali.

La Cassazione Civile, con sentenza n. 12.12.2017 n. 29810, è stata la prima a pronunciarsi in merito statuendo, seppur in maniera indiretta, che la nullità del patto fideiussorio concluso in conformità a una intesa anticoncorrenziale prescinde dall’anteriorità del patto stesso rispetto al parere n. 55 della Banca d’Italia. In altre parole, la Cassazione ha precisato che rileva unicamente il fatto che l’intesa a monte (schema ABI del 2003) sia antecedente al contratto di fideiussione impugnato.

In modo conforme si è pronunciata la successiva sentenza del 22.05.2019 n. 13846 e la Corte d’Appello di Bari con provvedimento n. 45/2020.

Ciò che non è uniforme tra le varie decisioni che si sono succedute alla prima, è il fatto di stabilire in quali termini l’illecito anticoncorrenziale dello schema ABI travolga il contratto a valle. Se, in altre parole, venga dichiarato nullo l’intero contratto di garanzia o vengano solo espunte da esso le clausole invalide conformi allo schema.

Favorevole alla nullità totale del contratto sono state: Corte d’Appello di Firenze 18.07.2018, Corte d’Appello Roma 26.07.2018; Tribunale di Salerno 23.08.2018; Tribunale di Fermo 24.09.2018; Tribunale di Bolzano 19.12.2018; Tribunale di Belluno 31.01.2019; Tribunale di Pesaro 21.03.2019; Tribunale di Siena 14.05.2019; Tribunale di Taranto 08.09.2019. Contrario il Tribunale di Treviso 23.07.2018.

Si segnala, da ultimo, una recente sentenza del Tribunale di Catanzaro n. 5023/2019, la quale ha affermato che la competenza a decidere sia da attribuirsi al Tribunale ordinario, invece che alla sezione specializzata.

Ne discende l’importanza dell’esame approfondito e tecnico della singola fattispecie, della volontà delle parti, dell’alterazione dell’assetto dei rispettivi interessi, caso per caso.

Vi terremo aggionati.

Avv. Romina Zanvettor

Avv. Francesca Todeschini

Il contratto di fideiussione omnibus redatto secondo schema ABI è nullo?

Manovrina salva-pannelli: 10% di decurtazione di tariffa per i moduli senza certificazioni

La Legge 21.06.2017 n. 96, di conversione del D.L. 24.04.2017 n. 50 – c.d. Manovrina salvapannelli- con l’art. 57-quater, rubricato “salvaguardia della produzione di energia da impianti fotovoltaici ed eolici”, ha introdotto sei nuovi commi all’art. 42 comma 4 del D.Lgs. 28/2011 -c.d. Decreto Romani -testo base di riferimento nel settore delle energie rinnovabili.
I commi relativi ai pannelli fotovoltaici sono quelli dal 4-bis al 4-quinquies.

Si tratta di una disciplina ad hoc, valida per gli impianti fotovoltaici, di potenza superiore ai 3 kW, per i quali, sia stata verificata, in esito al controllo del Gestore dei Servizi Elettrici (GSE), l’installazione di moduli (pannelli) non certificati, o con certificazioni non rispondenti alla normativa di riferimento.

In questi casi, viene applicata una decurtazione sulla tariffa incentivante base per l’energia prodotta.
La decurtazione in discorso viene però concessa solo
-su istanza del soggetto verificato
-e previa dimostrazione, da parte di questi, di aver intrapreso le azioni consentite dalla legge contro i responsabili della non conformità dei moduli.

La percentuale di decurtazione, originariamente fissata al 20%, è stata poi dimezzata al 10% per espressa previsione dell’art. 13-bis, comma 1, della Legge n.128/2019 ed è validamente applicabile anche per quegli impianti ai quali è stata precedentemente adottata la decurtazione del 20% di cui alla Manovrina.

Di significativa portata risulta anche la lettera b) dell’art. 13-bis, comma 2, della Legge sopra citata, poiché specifica ulteriormente che la riduzione percentuale sopra richiamata si applica ulteriormente:
• agli impianti realizzati, e in esercizio, oggetto di procedimenti amministrativi in corso;
e
• su richiesta dell’interessato, agli impianti:
 definiti con provvedimento del GSE di decadenza dagli incentivi;
 oggetto di procedimenti giurisdizionali pendenti;
 oggetto di procedimenti non definiti con sentenza passata in giudicato alla data di entrata in vigore della legge di conversione medesima (02.11.2019), compresi i ricorsi straordinari al Capo dello Stato.

Attenzione, però, che la che la richiesta vale quale quiescenza alla violazione contestata nonché rinuncia all’azione eventualmente in corso contro il GSE.
Le nuove percentuali non si applicano qualora la condotta dell’operatore che ha determinato il provvedimento del GSE sia oggetto di processo penale in corso, ovvero concluso con sentenza di condanna anche non definitiva.

Riferimenti normativi
Art. 57-quater. (Salvaguardia della produzione di energia da impianti fotovoltaici ed eolici). DECRETO-LEGGE 24 aprile 2017, n. 50 (in SO n.20, relativo alla G.U. 24/04/2017, n.95), convertito con modificazioni dalla L. 21 giugno 2017, n. 96 (clicca qui).

Vi terrò aggiornati.

Avv. Romina Zanvettor

Avv. Francesca Todeschini

Manovrina salva-pannelli: 10% di decurtazione di tariffa per i moduli senza certificazioni

Controlli e sanzioni in materia di incentivi per gli impianti da fonti di energia rinnovabile: l’art. 42 del Decreto Romani dalla sua entrata in vigore allo stato attuale

Oggi ci occupiamo dell’articolo 42, rubricato disciplina dei controlli e delle sanzioni in materia di incentivi che, ai suoi commi 3, 4 e 5, a partire dalla entrata in vigore in data 29.03.201, con il D.LGS 28/2011 (cosiddetto Decreto Romani -attuativo della direttiva n. 2009/28/CE), ha subito, nel tempo, svariate modifiche e ritocchi, tanto da risultare, oggi, un sistema notevolmente differente da quello originario (clicca qui).

Le modifiche più significative a questo articolo si sono avute a seguito di quattro interventi legislativi, volti principalmente a salvaguardare la produzione di energia da fonti rinnovabili, il cui meccanismo di concessione è preordinato al soddisfacimento di un interesse istituzionale che trascende quello dei singoli destinatari, per comprendere anche quello dell’organismo che elargisce il benefico e della nazione nel suo insieme, nell’ottica della promozione del c.d. green deal.
Tale sistema è stato messo a rischio anche da episodi di truffe, rimbalzate agli onori della cronaca, poste in essere da costruttori e appaltatori in danno di ignari soggetti utilizzatori i quali, a propria volta, si sono trovati pesantemente sanzionati dal Gestore, per esempio, per aver fatto installare, presso i propri stabilimenti, pannelli di origine non italiana, o non europea.

Com’è noto, la competenza per l’attività di verifica, l’erogazione e il mantenimento degli incentivi è, per l’appunto, del Gestore dei Servizi GSE (clicca qui), costituito nel 1999, per effetto del decreto Bersani, che ha introdotto la liberalizzazione nel settore energetico. Società per azioni a partecipazione interamente pubblica, il Gestore è posto sotto il diretto controllo del Ministero dell’economia e delle finanze ed è la quarta società in Italia per fatturato, dopo Eni e Enel.

L’art. 42, nel suo impianto originario, prevedeva un sistema di erogazione di benefici sottoposta a una serie di verifiche effettuate da parte del GSE attraverso il controllo della documentazione trasmessa dal richiedente, nonché con visite a campione sugli impianti e, nel caso di accertata violazione rilevante, il rigetto dell’istanza di ammissione o la decadenza dai benefici ottenuti, con conseguente recupero delle somme eventualmente già corrisposte.

Se, da un lato, le modalità di controllo sono rimaste le stesse, le sanzioni, dall’altro, sono modificate integralmente.

Le leggi più significative sul tema, tutte modificative dell’art. 42, sono state promulgate nel 2017 e, l’ultimissima, alla fine dell’anno 2019. Si ricordano:
• Legge 21.06.2017 n. 96, che ha avviato (cosiddetta “Manovrina salvapannelli”), che avvia, per gli impianti di potenza superiore ai 3 kW, il meccanismo della decurtazione percentuale della tariffa base incentivante, ulteriormente ridotta in caso di violazioni spontaneamente denunciate prima dell’avvio del procedimento, e ha dettato regole ad hoc e per l’ipotesi di pannelli fotovoltaici con certificati non conformi;
• Legge n. 124 del 04.08.2017, che ha introdotto la decurtazione per gli impianti di potenza inferiore ai 3 kW;
• Legge n. 2005 23.12.2017, Legge di Bilancio per il 2018, che ha previsto una vera e propria deroga per tutti gli impianti percipienti incentivi al momento del controllo del Gestore, con ciò di fatto abolendo la sanzione della decadenza e introducendo quella della decurtazione, in una misura ricompresa tra il 20 e l’80% in ragione dell’entità della violazione, e ulteriormente ridotta in caso di autodenuncia;
• Legge 02.11.2019 n. 128, che ha inciso, per gli impianti già realizzati e ancora in esercizio, sulle variazioni percentuali riducendole ulteriormente e le rende applicabili anche agli impianti ai quali era stata precedentemente comminata la decurtazione per effetto della c.d. Manovrina.

Quanto alla disciplina ad hoc introdotta dalla Legge salvapannelli per il fotovoltaico, in favore di soggetti già percipienti incentivi al momento dell’accertamento, l’articolo di riferimento è il 57-quater rubricato “salvaguardia della produzione di energia da impianti fotovoltaici ed eolici”.

Tale norma ha disposto, all’art. 42, comma 4 del Decreto Romani, sei ulteriori commi (dal 4-bis al 4-quinquies, per il fotovoltaico e il 4-sexies, per l’eolico), contenenti la previsione di una decurtazione del 20% sulla tariffa incentivante base per l’energia prodotta, da applicarsi in esito alla verificata installazione di moduli (pannelli) non certificati o con certificazioni non rispondenti alla normativa di riferimento. La decurtazione viene concessa solo su istanza del soggetto verificato e previa dimostrazione, da parte di questi, di aver intrapreso le azioni consentite dalla legge contro i responsabili della non conformità dei moduli.

La percentuale di decurtazione, originariamente fissata al 20%, è stata poi dimezzata al 10% e, secondo il disposto dell’art. 13-bis, comma 1, della Legge n.128/2019 -sopra citata come ultima degli interventi importanti in materia- validamente applicabile, come detto, anche per quegli impianti ai quali è stata precedentemente adottata la decurtazione del 20% prevista dalla Manovrina.

Di significativa portata risulta anche la lettera b) dell’art. 13-bis, comma 2, (l’unico a rimanere una disposizione esterna e non modificativa del testo normativo dell’art. 42) poiché specifica ulteriormente che le riduzioni percentuali sopra richiamate si applicano:
● agli impianti realizzati, e in esercizio, oggetto di procedimenti amministrativi in corso;
e
● su richiesta dell’interessato (che vale quale quiescenza alla violazione contestata nonché rinuncia all’azione), agli impianti:
− definiti con provvedimento del GSE di decadenza dagli incentivi;
− oggetto di procedimenti giurisdizionali pendenti;
− oggetto di procedimenti non definiti con sentenza passata in giudicato alla data di entrata in vigore della legge di conversione medesima (02.11.2019), compresi i ricorsi straordinari al Capo dello Stato.

Attenzione, però, che le nuove percentuali non si applicano qualora la condotta dell’operatore, che ha determinato il provvedimento del GSE, sia oggetto di processo penale in corso, ovvero concluso con sentenza di condanna anche non definitiva.

Per quanto poi l’entità delle violazioni, il comma 5 dell’art. 42, fin dalla sua promulgazione, ha previsto, a completamento del quadro del sistema sanzionatorio, l’emissione di un Decreto Ministeriale che indicasse le violazioni che danno luogo alle sanzioni in materia di incentivi, sulla base di elementi valutativi che lo stesso GSE doveva fornire al Ministero.
È stato quindi pubblicato il Decreto Ministeriale 31.01.2014 (cosiddetto Decreto Controlli) che, con il suo Allegato 1, ha dato indicazioni -non tassative- per le violazioni rilevanti comportanti rigetto dell’istanza o decadenza dai benefici concessi.
La Legge di Bilancio 2018, sopra citata, ha dunque aggiornato anche il comma 5 dell’art. 42 in discorso introducendo, con lettera c-bis), tra i contenuti di detta disciplina di sistema, l’indicazione delle violazioni che danno luogo a decurtazione dell’incentivo ai sensi dell’ultimo periodo del comma 3 (quello della deroga, n.d.r.).

Alcun decreto ministeriale di aggiornamento del Decreto Controlli risulta a oggi pubblicato tanto che il GSE, nei propri provvedimenti emessi in esito alle verifiche condotte sugli impianti, non ha recepito il nuovo sistema in deroga, di cui all’art. 42, 3 comma, secondo periodo, continuando a sanzionare con la revoca o la decadenza, in luogo della decurtazione!

Di importanza notevole sul tema, dunque, è la sentenza del Tar Lazio, Sezione Terza Ter, 30.07.2019, n. 10129, nella quale viene espressa una posizione chiara sul punto.

Nella fattispecie sottoposta all’esame del Tribunale amministrativo, si impugnava, con richiesta di annullamento, un provvedimento del GSE emesso in esito a un controllo, presso una installazione di n. 32 impianti solari termici, per i quali era stata formulata istanza di accesso al c.d. Conto Termico, e comminante la revoca dei benefici concessi per rilevata difformità degli interventi, realizzati rispetto alle direttive in materia, e per violazione dell’art. 42, comma 3, D.Lgs. 28/2011, così come introdotto e modificato dalla Legge n. 205/2017, (Legge di Bilancio 2018).
In particolare, la doglianza avanzata dal ricorrente, e accolta dal Tribunale amministrativo, riguardava proprio la portata della deroga di cui all’art. 42, comma 3, e la sua mancata applicazione a beneficio del Soggetto Responsabile, nonostante la chiara formulazione della norma in esame.
Il Gestore, al contrario, aveva disatteso la novella che prevede, come sopra esposto, non la revoca bensì la decurtazione, gradata in ragione dell’entità della violazione riscontrata (all’epoca la gradazione prevista era tra il 20% e l’80%).

Il provvedimento è stato annullato.
Il Tribunale Amministrativo capitolino ha precisato senza alcuna ombra di dubbio – estromettendo il GSE dal ruolo auto-assuntosi di legislatore e ricollocandolo in quello proprio di controllore – che la natura dell’art. 42 comma 3, secondo periodo, come espressamente risulta dal dettato dalla norma medesima, è derogativa e che la previsione della decurtazione è direttamente applicabile, in luogo della revoca/decadenza, dovendo essere calibrata, nella sua forbice percentuale, in ragione dell’entità della violazione accertata dal GSE, previa verifica all’impianto (percipiente incentivi al momento del procedimento amministrativo del Gestore).

Concludendo, quindi, a partire dall’entrata in vigore della Legge di Bilancio 2019, letta in combinato disposto con la precedente Manovrina e la Legge 128/2019, il sistema operativo dei controlli e sanzioni in materia di incentivi dispone che, per gli impianti ricadenti sotto la sua applicazione, la regola primaria è quella della decurtazione, con percentuali ribassate in misura rilevante e gradate in ragione dell’entità della rilevanza accertata.

Inoltre, sono previste misure specifiche per gli impianti fotovoltaici, per i quali venga accertata l’installazione di moduli non certificati o con certificazioni non rispondenti alla normativa di riferimento, purché il soggetto beneficiario della tariffa incentivante abbia intrapreso le azioni consentite dalla legge nei confronti dei soggetti responsabili della non conformità dei moduli e ne abbia fatto espressa istanza al GSE. La sanzione è, dunque, quella della decurtazione del 10% della tariffa base per l’energia prodotta dalla data di decorrenza della convenzione con il GSE, comunque escluse ulteriori maggiorazioni eventualmente concesse ad altro titolo, e con valenza anche per le strutture che avessero già beneficiato della precedente decurtazione del 20%.

Cliccando qui il testo integrale dell’art. 42 D.Lgs 28/2011 con tutte le modifiche richiamate nell’approfondimento.

Avv. Romina Zanvettor

Avv. Francesca Todeschini

Controlli e sanzioni in materia di incentivi per gli impianti da fonti di energia rinnovabile: l’art. 42 del Decreto Romani dalla sua entrata in vigore allo stato attuale

Proroga Indennizzo FIR: 18 giugno 2020

Il 31 dicembre 2019 Consap aveva pubblicato nel portale per la domanda al fondo indennizzo risparmiatori la notizia secondo cui la scadenza di invio delle domande era stata prorogata al 18 aprile 2020, anziché il 17 febbraio 2020. Tuttavia, all’inizio del mese di marzo, sono state molte le persone e associazioni in difesa dei risparmiatori a chiedere un’ulteriore proroga, per due motivi ben specifici:

• molti risparmiatori stanno ancora aspettando il rilascio della documentazione necessaria da parte di Banca Intesa Sanpaolo, nonostante le richieste e i solleciti fatti ormai da tempo;
• l’emergenza del Coronavirus che ha portato alla chiusura di alcuni sportelli e servizi a favore dei risparmiatori, aggravando la situazione e ritardando ulteriormente la compilazione della domanda.

Queste richieste sono state ascoltate, infatti, il 16 marzo 2020 è stato pubblicato il decreto anti-COVID 19, il cosidetto decreto “Cura Italia”, che contiene le misure economiche destinate a fronteggiare la difficile situazione sanitaria ed economica che si sta vivendo in questo mese.
In particolare l’articolo 49, comma 2, stabilisce che “in considerazione dell’elevato numero dei risparmiatori interessati all’accesso delle prestazioni del FIR per la erogazione degli indennizzi e delle difficoltà operative nel rilascio da parte degli operatori creditizi competenti della documentazione bancaria necessaria, le disposizioni di cui al comma 2 modificano l’art. 1, comma 237, della legge 27/12/2019, n. 160, prevedendo un’ulteriore proroga della data ultima per il deposito delle istanze di indennizzo. Il termine del 18 aprile 2020 è prorogato al 18 giugno 2020”.
Inoltre viene garantito anche un anticipo del 40% dell’indennizzo concordato per chi ha la pratica già conclusa, secondo quanto segue: “le disposizioni di cui al comma 1, lettera b), modificano la disciplina indicata all’art 1, comma 497, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 in materia di indennizzo per gli obbligazionisti. Le modifiche in commento consentono alla Commissione tecnica, in attesa della predisposizione del piano di riparto, di autorizzare il conferimento di un anticipo pari al 40 per cento dell’importo dell’indennizzo deliberato dalla medesima Commissione tecnica a seguito del completamento dell’esame istruttorio”.
Vi terrò aggiornati.

Avv. Romina Zanvettor

Proroga Indennizzo FIR: 18 giugno 2020

L’illegittima segnalazione “a sofferenza” alla Centrale dei Rischi e il “danno conseguenza” per l’imprenditore.

Come avviene la segnalazione alla Centrale dei Rischi e quali sono i danni risarcibili in caso di sua accertata illegittimità?
• Sono due i criteri che la Banca deve rispettare nell’eseguire la segnalazione: uno soggettivo e uno oggettivo.
• Il danno lamentato dal Cliente deve essere allegato e dimostrato in giudizio: ciò significa che non discende direttamente dall’avvenuta segnalazione, pur accertata come illegittima.
Criteri per valutare la legittimità della segnalazione:
– soggettivo: riguarda la necessità per la Banca di effettuare una compiuta valutazione complessiva dello stato di insolvenza del Cliente, sia economica che patrimoniale. La Banca deve operare valutazioni che riguardano: la liquidità, la capacità produttiva e reddituale, la situazione del mercato in cui il cliente opera, l’ammontare del credito, il tutto rapportato temporalmente al momento della determinazione ad effettuare la segnalazione. Spesso, però, la Banca segnalante è sprovvista di tali specifiche informazioni e spesso queste informazioni, anche se di segno negativo, non necessariamente conducono al venir meno di una generale solvibilità del soggetto, ma “solo” a una temporanea, seppur grave, difficoltà.
– oggettivo: riguarda l’accertamento, caso per caso, della sussistenza dello stato di insolvenza o di situazione ad esso comparabile.
Cosa si intende per insolvenza.
Nel glossario dei significati della Banca d’Italia lo “stato di insolvenza” viene così definito: “incapacità non transitoria di adempiere alle obbligazioni assunte”. Trattandosi di definizione generica, alle Banche è stato lasciato ampio margine di arbitrarietà nel considerare assimilabili allo stato di insolvenza situazioni che, di fatto, non sono “sofferenti”.
Il sistema così strutturato ha generato un consistente contenzioso per contenere l’arbitrarietà delle Banche nelle valutazioni delle singole situazioni e giungere a una rielaborazione più precisa e costituzionalmente orientata del concetto di insolvenza.
La casistica delle pronunce giurisprudenziali sul punto riguarda, in buona sostanza, i seguenti principali eventi che possono causare l’esclusione, o quantomeno sospensione, dell’insolvenza lamentata dalla Banca verso cliente:
– volontà manifesta del debitore di adempiere alla propria obbligazione e
– proposta di un piano di rientro dilazionato.
In tale ultimo caso, in particolare, sulla Banca grava un cosiddetto dovere di protezione del proprio cliente – definito per espressa disposizione di legge “contraente più debole” –, il quale manifesta la volontà di adempiere al pagamento del proprio debito, seppur in tempi più lunghi rispetto a quelli originariamente discendenti dal contratto. In tali ipotesi, una segnalazione alla Centrale Rischi comporterebbe una violazione del principio di buona fede contrattuale, che è un principio di portata generale da invocare nella analisi degli equilibri contrattuali e da verificare caso per caso. L’accertamento in giudizio della violazione di tale principio comporta responsabilità contrattuale e obbligo risarcitorio da parte della Banca.
Attenzione però a proporre piani di rientro non ragionati o fai da te: non soltanto perché possono comportare, se non adeguatamente formulati, un riconoscimento di debito utilizzabile in successivo giudizio da parte della Banca, ma soprattutto perché, se l’intenzione occulta è quella di versare una o due rate e sospendere il pagamento, le conseguenze potrebbero essere peggiori per il debitore.
È necessario, quindi, formulare e proporre piani di rientro oggettivamente sostenibili che presuppongano una idonea due diligence e la previsione di determinate clausole di riserva a tutela delle parti.
La segnalazione è illegittima in caso di:
 mancato preavviso: l’intermediario deve preavvertire il cliente almeno 15 giorni prima di procedere alla segnalazione;
 errata valutazione dell’intermediario circa lo stato finanziario-patrimoniale del soggetto segnalato “a sofferenza”: l’analisi imposta alla Banca deve essere positiva nel rinvenire una effettiva situazione di insolvenza apprezzabile come grave e non come transitoria difficoltà economica.
I Giudici di merito (i Tribunali) ritengono, quindi, che non sia conforme alla buona fede il comportamento dell’Istituto di Credito che segnali automaticamente l’esposizione di un proprio Cliente, senza averlo preventivamente informato della sua situazione affinché, ove possibile, egli potesse provvedere a ripianarla e soprattutto senza avvisarlo che, a partire da una certa data, quella situazione lo esponeva alla segnalazione in Centrale Rischi.
Secondo la Cassazione Civile “ciò che rileva è la situazione oggettiva di incapacità finanziaria (“incapacità non transitoria di adempiere alle obbligazioni assunte”) mentre nessun rilievo assume la manifestazione di volontà di non adempiere, se giustificata da una seria contestazione sull’esistenza del titolo del credito vantato dalla banca”.
In altro caso, è stata ritenuta illegittima la segnalazione in ipotesi di “valutazione negativa di una situazione patrimoniale apprezzata come deficitaria, ovvero di grave (e non transitoria) difficoltà economica, senza, cioè, fare necessario riferimento all’insolvenza intesa quale situazione di in capienza, ovvero di definitiva irrecuperabilità”.
Il danno patrimoniale e non patrimoniale risarcibile:
Il soggetto che assume l’illegittimità della segnalazione a sofferenza del proprio nominativo alla centrale dei rischi deve fornire – nel giudizio intentato contro la Banca segnalante – la prova dell’illegittimità della segnalazione, come sopra detto, e di aver subito, in conseguenza di ciò, un concreto pregiudizio patrimoniale (perdita di danaro) o non patrimoniale (danno all’immagine e alla reputazione).
Alcuni esempi di danno risarcibile, se provato:
• smobilizzazione di investimenti per far fronte alla difficoltà economica;
• perdita di opportunità imprenditoriali a causa dell’interruzione della linea di credito;
• impossibilità di accedere a nuove linee di credito;
• revoca di concessioni dei crediti esistenti;
• danno reputazionale (commerciale e personale) e all’immagine dell’azienda e alla onorabilità.
La prova caso per caso
Non sono, quindi, ricevibili richieste di risarcimento danni generiche: di qui la denominazione del
• “danno conseguenza”: si tratta di fornire non necessariamente l’esatta quantificazione, ma le specifiche conseguenze concrete discendenti dal fatto della segnalazione. È considerata in alcuni casi ammissibile anche la presunzione (es. derivante dalla durata della segnalazione) purché le allegazioni siano adeguate e complete.
La Cassazione Civile con recentissima sentenza del 20 febbraio 2020 n. 4334 (conforme a Tribunale di Treviso sentenza n. 15.02.2019) ha ribadito che “Il danno all’immagine e alla reputazione commerciale per illegittima segnalazione alla Centrale Rischi, poiché costituisce danno conseguenza, deve essere specificamente allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento”.
Ne consegue l’assoluta importanza di redarre di atti giudiziali contenenti allegazioni puntuali e richieste di prove di danni dimostrabili.

Le fonti legislative
Le fonti relative alla Centrale Rischi si rinvengono nelle seguenti norme:

– Art. 53, comma 1, lett. b), T.U.B., che attribuisce alla Banca d’Italia, in conformità alle deliberazioni del CICR, il potere di emanare disposizioni di carattere generale concernenti il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni;
– Art. 67, comma 1, lett. b), T.U.B., che attribuisce alla Banca d’Italia, in conformità alle deliberazioni del CICR, la facoltà di impartire alla capogruppo, con provvedimenti di carattere generale o particolare, disposizioni concernenti il gruppo bancario complessivamente considerato o i suoi componenti, aventi ad oggetto il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni;
– Art. 107, comma 2, T.U.B., che attribuisce alla Banca d’Italia, in conformità alle deliberazioni del CICR, il compito di dettare agli intermediari iscritti nell’elenco speciale contemplato in tale articolo disposizioni aventi ad oggetto il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni;
– Art. 51 T.U.B., che dispone che le Banche inviino alla Banca d’Italia, con le modalità̀ e i termini da essa stabiliti, le segnalazioni periodiche, nonché ogni altro dato e documento richiesto;
– L’obbligo di preavviso della segnalazione si rinviene dalle previsioni di cui all’art. 125, comma 3, T.U.B., di cui all’art. 4 comma 7 del Codice in materia di protezione dei dati personali – Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti, e di cui alla Circolare 139 in data 11.2.1991 della Banca d’Italia; in caso di segnalazione a sofferenza, il riferimento deve essere inteso al capitolo 2, sezione II, paragrafo 1.5 della circolare 139/1991, la quale prevede che “gli intermediari devono informare per iscritto il cliente e gli eventuali coobbligati (garanti, soci illimitatamente responsabili) la prima volta che lo segnalano a sofferenza”, pur se “tale obbligo non configura in alcun modo una richiesta di consenso all’interessato per il trattamento dei suoi dati”.
– Delibera CICR 29 marzo 1994, che detta i principi generali relativi al servizio di centralizzazione dei rischi (carattere riservato, obbligo di riservatezza a carico degli intermediari partecipanti al servizio verso qualsiasi soggetto estraneo a tale sistema, diritto di accesso ai propri dati personali a favore delle persone censite nelle anagrafi della Centrale rischi);
– Circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 “Centrale dei rischi. Istruzioni per gli intermediari creditizi” 15° aggiornamento – giugno 2016;
– Gli intermediari segnalanti sono tenuti a fornire alla Banca d’Italia i dati relativi all’indebitamento della clientela ai fini dello svolgimento del servizio centralizzato dei rischi in base agli artt. 51, 66, comma 1, e 107, comma 3, del citato Testo unico;
– Art. 4, del Codice di deontologia e buona condotta per i sistemi informativi gestiti da privati in tema di crediti al consumo, emanato ai sensi dell’art. 40 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, (relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati) indica i requisiti e le categorie di dati che interessano le segnalazioni in sistemi di informazioni creditizie (SIC).

Avv. Romina Zanvettor

Avv. Francesca Todeschini

L’illegittima segnalazione “a sofferenza” alla Centrale dei Rischi e il “danno conseguenza” per l’imprenditore.

Ex popolari venete: il divieto di far causa a Intesa San Paolo è contrario alle norme Ue

Una recentissima ordinanza del Tribunale di Verona del Giudice Dott. Vaccari, “fa saltare” il divieto di agire giudizialmente contro Banca Intesa, come stabilito dall’art. 3 D.L. 99/2017, convertito con modificazioni dalla Legge n. 121 del 31.07.2017, in danno ai clienti.
Si ricorda che il citato decreto, oltre a disporre la liquidazione coatta amministrativa delle banche venete, ha previsto la cessione a Intesa San Paolo delle attività e passività di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca.
In particolare, poi, l’art. 3 (clicca qui) ha fissato una di clausola di salvaguardia, in favore della cessionaria Intesa San Paolo, che ha impedito agli ex clienti delle banche venete di avanzare in causa pretese creditorie contro l’Istituto torinese, fondate su fatti o contestazioni stragiudiziali precedenti la cessione (ovvero precedenti il giugno 2017), relativamente ai rapporti contrattuali stretti con gli istituti in liquidazione.
Ciò nonostante, al contempo, Intesa San Paolo abbia conservato intatta la propria legittimazione ad agire in giudizio per ottenere il rispetto degli obblighi contrattuali contro tutti i clienti acquisiti.
Il Tribunale, con l’ordinanza in commento, ha disapplicato la clausola di salvaguardia di cui all’art. 3, sconfessando un caposaldo della legge di cessione.

Il caso.
Il caso riguarda un correntista veronese della ex Popolare di Vicenza, titolare di un conto corrente e deposito titoli, trasferito ad Intesa dopo la cessione del 2017. Il correntista ha chiamato in giudizio banca Intesa chiedendo quasi 140mila euro di risarcimento. L’accusa ha sostenuto che il cliente fosse stato indotto, per mezzo di un funzionario Bpvi, all’acquisto, nel 2014, di azioni Mps per un valore di 92mila euro, senza essere stato precedentemente informato delle caratteristiche – altamente rischiose- dell’investimento e per essere stato falsificato il questionario Mifid, al fine di prorogare l’operazione di investimento a proprio danno.
Banca Intesa ha invocato a sua difesa l’art. 3 del D.L. 99/2017, che ha escluso dalle controversie esercitabili nei propri confronti quelle relative a operazioni di ex clienti Bpvi e Veneto Banca, effettuate prima della cessione, e cioè prima del 2017. Il Tribunale ha rigettato l’eccezione.

Contenuto dell’ordinanza. Il Tribunale di Verona sconfessa il decreto di cessione.
La recentissima ordinanza del Tribunale di Verona, firmata l’11 febbraio scorso da un magistrato che già in passato si è occupato di altri contenziosi afferenti le banche venete, ha risolto positivamente per la prima volta un caso successivo alla cessione, contro Banca Intesa.
Il Giudice con la propria ordinanza ha dichiarato inapplicabile l’art. 3, invocato a propria difesa dalla Banca «stante il contrasto con il diritto Ue ed in particolare col principio di tutela giurisdizionale effettiva di cui all’articolo 47 del Trattato Ue».
Ne è conseguita una «inedita scissione tra situazioni debitorie e creditorie, pregiudizievole per i contraenti ceduti». «Per effetto di tale regime – ha continuato il Giudice – il titolare di un rapporto ceduto a Intesa dovrebbe adempiere agli obblighi, mentre dovrebbe far valere i propri crediti, per atti o fatti anteriori alla cessione, nell’ambito della procedura concorsuale» cioè nella liquidazione coatta che, come è già noto, non potrà soddisfare i creditori non privilegiati, e senza nemmeno poter recedere. «Tale quadro obbliga il contraente ceduto a continuare il rapporto con Intesa – conclude il Tribunale – senza poter far valere nei suoi confronti i diritti da esso derivanti». Per il Giudice si è realizzata «una evidente compromissione del diritto di difesa» e, pertanto, l’art. 3 in questione non risulta conforme al principio di effettiva tutela giurisdizionale sancito dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (clicca qui) e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (clicca qui)

Possibili scenari.
Si tratta all’evidenza di una ordinanza importante, con ripercussioni dirompenti sulle vertenze che gli ex clienti delle popolari venete in liquidazione possono intentare o hanno già intentato contro Intesa San Paolo, per responsabilità contrattuali ed extracontrattuali antecedenti, ma anche successive, alla cessione del giugno 2017.
Ulteriori aggiornamenti nel prossimo approfondimento sul tema.

Avv. Romina Zanvettor

Avv. Francesca Todeschini

Ex popolari venete: il divieto di far causa a Intesa San Paolo è contrario alle norme Ue